di: Massimo Zaurrini | 2 Febbraio 2016
È stato un anno complicato per molti paesi africani quello che si è appena chiuso. Il continente è cresciuto, in alcuni casi mantenendo se non migliorando le attese – è il caso per esempio di Etiopia e di Costa d’Avorio – ma in generale rallentando a causa di alcuni fattori. Due in particolare: il rallentamento dell’economia cinese e il calo dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali. Ciononostante, occorre sottolineare che la crescita c’è stata e che sarà in media intorno al 4%.
Per il 2016, tutti i principali osservatori locali e internazionali sono concordi nel sostenere che ci sarà un cambio di tendenza con le economie dei paesi africani che torneranno a crescere ai ritmi cui ci eravamo abituati, benché incertezze continentali – legate per esempio alla stabilità in alcune aree o alla siccità che ha colpito quest’anno la regione australe – ed extracontinentali – l’Africa è sempre più connessa al resto del mondo e gli effetti delle vicende cinesi ne sono una dimostrazione – costringono a lasciare poco spazio ai facili ottimismi. Ancora una volta la differenza la potrà fare chi riuscirà a leggere gli sviluppi delle economie africane alla luce di dati di fatto e tendenze, piuttosto che guardando alla quotidianità dell’Africa così come viene trasmessa dai media generalisti.
Se conoscenza è potere, è altrettanto vero che in Africa cominciano ad aprirsi – o ad apparire con maggiore evidenza – gli spazi che l’Italia potrebbe sfruttare per interecettare nuovi mercati o individuare aree utili agli investimenti e all’internazionalizzazione delle sue imprese anche piccole e medie.
Lo scorso dicembre, l’ultimo vertice Cina-Africa tenutosi a Johannesburg, si è chiuso con un elemento di novità che dovrebbe far alzare le antenne anche nella nostra penisola. La Cina, ovvero uno dei più grandi investitori singoli, in grado di finanziare la corsa alle infrastrutture necessaria allo sviluppo del continente, continuerà lungo la strada che segue da ormai dieci anni ovvero di finanziare opere in cambio di materie prime e dell’assegnazione dei progetti alle sue aziende. Ma a Johannesburg, i paesi africani hanno chiesto un cambio di marcia perché l’Africa deve produrre beni per i consumi interni e per alimentare le esportazioni, deve in poche parole passare da una crescita macroeconomica a una crescita sostenibile e condivisa, deve creare occupazione per una popolazione in crescita e naturalmente più esigente.
Questa esigenza africana – esigenza di diversificazione – spalanca le porte al made in Italy e al Sistema paese: filiere organizzate possono trovare spazi utili di azione. Per commercializzare e internazionalizzare, per dare all’Africa conoscenze in un’ottica di business-to-business. Lontani dalle ottiche di alcuni decenni fa e sfruttando anche leggi come quelle che portano alla nuova cooperazione e quindi alla collaborazione tra privati e ong.
Il 2016 sarà anche un anno di elezioni. Votazioni più o meno importanti si terranno in circa la metà dei 54 paesi del continente. Da seguire con attenzione saranno le presidenziali ugandesi, con il presidente uscente Yoweri Museveni che per la prima volta potrebbe trovarsi di fronte un’opposizione meglio organizzata. A settembre si voterà per le presidenziali e le legislative in Zambia e a dicembre sarà il Ghana a scegliere il suo capo di Stato. Di quante di queste elezioni si parlerà in Italia? Forse di un paio. Ma il 2016 potrebbe essere anche un anno di svolta per l’Italia: dopo le aziende anche la politica sembra essersi accorta dell’Africa e questo non è da sottovalutare.