di: Redazione | 27 Aprile 2016
Alla fine tutto si è apparentemente concluso con il giuramento del leader ribelle Riek Machar a vice-presidente, il posto che lo stesso Machar aveva lasciato nel luglio del 2013, nel momento più alto del dissidio politico con il presidente Salva Kiir, sfociato nel dicembre di quell’anno in aperto conflitto armato. Le due anime del movimento che aveva portato il Sud Sudan all’indipendenza dal Sudan hanno fatto pace, anche e soprattutto grazie alla mediazione dei paesi vicini e dell’Onu; ma è stata una pace cui si è arrivati dopo due anni di combattimenti costati la vita a decine di migliaia di persone con due milioni di sfollati e con violenze di cui difficilmente si conosceranno i responsabili. Né si saprà per certo cosa abbia spinto davvero alla guerra, benché – come sostengono molti sostenitori – il petrolio anche in questo caso abbia giocato un ruolo rilevante. Riek Machar aveva lasciato Juba nel dicembre del 2013, dopo essere stato accusato di complottare un golpe ai danni del governo. Ora è rientrato a Juba per tentare di rimettere in carreggiata insieme all’ex rivale la più giovane nazione del mondo. I due si sono stretti la mano, ma pochi sono stati i sorrisi. Hanno parlato entrambi della necessità di riconciliazione e della necessità di ricostruire una nazione già povera e ora devastata. Nei prossimi giorni da queste strette di mano dovrebbe veder la luce un governo di unità nazionale. “Non ho dubbi che il ritorno di Machar a Juba segni la fine della guerra e il ritorno della pace e della stabilità in Sud Sudan” ha detto Salva Kiir. Parlando con i giornalisti poco dopo essere atterrato a Juba, Machar ha sostenuto che le sue principali priorità saranno garantire il mantenimento del cessate-il-fuoco, stabilizzare l’economia e assicurare l’accesso agli aiuti umanitari per tutto il paese.
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